Domenica 12 giugno i cittadini sono chiamati alle urne. Se da una parte una fetta dei cittadini voterà per rinnovare l’amministrazione locale, dall’altra tutti gli italiani aventi diritto al voto saranno impegnati nell’esprimere il loro parere sui cinque quesiti per il referendum sulla riforma della Giustizia, promosso da Lega e Radicali.

Per capire meglio di cosa si tratta e fare luce su ogni singolo quesito e sulle motivazioni di chi si oppone alle modifiche proposte dai referendum, abbiamo intervistato Alfonso Gianni, membro del Comitato per il NO ai referendum della giustizia, il quale premette che il loro è un NO a tutte le proposte. “Questo referendum è, nell’insieme, un’operazione politica calata dall’alto – spiega Gianni – Non siamo di fronte ad un referendum che nasce dalla raccolta delle 500mila firme bensì è stato richiesto da nove consigli regionali del centro-destra. Modalità ammessa dalla legge ma è indicativa del fatto che la richiesta referendaria non è passata da un appoggio popolare diretto. Siamo di fronte ad un giro di vite nei confronti dell’autonomia della magistratura con quesiti che, in alcuni casi, sono illeggibili data l’elevato grado di tecnicalità che contengono. Inoltre, soprattutto i quesiti sulla valutazione dei magistrati e sulla riforma del CSM riguardano questioni che toccano esclusivamente le singole professionalità giuridiche. Non hanno un impatto diretto sui cittadini e sulle loro vite.”

SCHEDA ROSSA: ABOLIZIONE DELLA LEGGE SEVERINO

Il primo quesito referendario è quello che riguarda l’abolizione della legge Severino: di cosa tratta la norma e perché sostenete il NO?

“Sull’abrogazione della legge Severino il nostro parere è negativo perché questo decreto legislativo non fa altro che applicare il secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione, il quale dice che i cittadini che ricoprono cariche pubbliche devono esercitarle con onore e con disciplina. Cosa che non sempre è avvenuta e per questo motivo è necessario stabilire l’incandidabilità e la non eleggibilità per coloro che hanno alle spalle sentenze per reati non colposi con pena superiore a due anni di reclusione. Naturalmente la legge Severino non è perfetta perché accanto a questa norma sacrosanta che ho appena citato e che il referendum vorrebbe abrogare, ce n’è un’altra che invece andrebbe modificata. È quella riguardante la differenza di trattamento per quanto riguarda gli amministratori locali. Questi possono subire una sospensione e una decadenza di diritto anche in caso di sentenza non definitiva: è questo il punto che andrebbe modificato. Invece, con questo primo quesito referendario si chiede di stravolgere l’intero disegno di legge. Se vincesse il “NO” la legge Severino rimarrebbe così com’è, permettendo poi all’organo parlamentare di intervenire con una variazione della medesima non in senso abrogativo, ma in senso migliorativo.”

SCHEDA ARANCIONE: LIMITI AGLI ABUSI DELLA CUSTODIA CAUTELARE

Il secondo quesito referendario riguarda la limitazione agli abusi della custodia cautelare: qual è la situazione attuale e perché votare NO?

“Il NO portato avanti dal nostro Comitato deriva dal fatto che il quesito non interviene sugli abusi della custodia cautelare bensì sulla riduzione del campo di applicazione della custodia cautelare e di altre misure coercitive interdittive ad esse connessi. In poche e semplici parole, i proponenti del quesito chiedono di tagliare la causale della reiterazione del reato e il reato che riguarda il finanziamento illecito dei partiti. Per quanto riguarda il primo punto va ricordato che già oggi le misure cautelari, che possono essere sia in carcere che in domicilio coatto, sono presidiate dall’ufficio controllo. Uno è quello del gip che può respingere la richiesta del PM qualora lo ritenga opportuno; successivamente il soggetto destinatario del provvedimento può comunque sempre ricorrere al tribunale del riesame. Quindi non siamo nel campo della piena discrezionalità del PM, ma è condizionata da ben due interventi. Se vincesse il SÌ non avremmo più un’arma importante per impedire la ripetizione di reati che purtroppo sono frequenti sia in campo amministrativo sia per quanto riguarda aspetti della vita comune (si pensi al caso delle violenze in famiglia e dello stalking). In sostanza il provvedimento se venisse abrogato restringerebbe il controllo di legalità e aumenterebbe l’insicurezza dei cittadini e della società nel suo complesso. Questa è la motivazione che accompagna il nostro NO.”

SCHEDA GIALLA: SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI

Il terzo quesito entra nello specifico dell’attività dei magistrati e riguarda la separazione delle loro carriere: in questo caso perché indicate il No come scelta?

“Questo della separazione delle carriere è il solito tormentone, un classico cavallo di battaglia della destra portato avanti da decenni. È un quesito lungo oltre due pagine, sfido qualunque cittadino a capirci qualche cosa. Per come la vediamo noi del Comitato per il NO, questo quesito è un tentativo di aggirare un divieto costituzionale. Negli articoli della nostra Costituzione preposti a tutela della indipendenza dell’autonomia della magistratura è esplicato che le differenziazioni tra i magistrati devono avvenire solo in base alla diversità di funzione. Qui, al contrario, il referendum pone la questione sulla separazione delle carriere di fatto. Annullando la possibilità che un magistrato svolga la funzione di giudice e successivamente quella di pubblico ministero o viceversa si irregimentano le funzioni in carriere separate e distinte. Vogliamo ricordare che attualmente la situazione non è quella dello “sliding doors”: non è possibile che una persona fa il pubblico ministero oggi e domani ricopre il ruolo di giudice. Questo spostamento di ruolo è fattibile solo quattro volte nell’arco della carriera da magistrato rispettando una serie di vincoli: non deve avvenire nello stesso distretto o nella stessa regione, ma soprattutto deve sempre superare l’approvazione del CSM. Inoltre, bisogna tener conto di un fattore attuale molto importante e che indebolisce le motivazioni alla base di questo quesito. In discussione in Parlamento c’è la legge Cartabia da non sottovalutare: questa disposizione infatti già prevede la riduzione da 4 a 1 caso solo. Noi riteniamo sia fondamentale mantenere questa possibilità di passaggio limitato da una carriera all’altra per evitare che funzioni come quella del pubblico ministero in qualità di soggetto accusatore si cristallizzino come una sorta di longa manus del potere esecutivo, politico o degli organi di polizia. È necessario che sia il giudice che il PM siano investiti della cultura della giurisdizione. In un processo non è solo questione di vincere o perdere: tanto il PM quanto il giudice hanno l’obbligo di ricercare la verità storica che può portare alla assoluzione o alla condanna dell’imputato. Il percorso della giurisdizione deve essere comune al giudice e al pubblico ministero; quindi, riteniamo che un passaggio almeno una volta nella carriera, se nell’interesse del magistrato, dall’uno all’altro ruolo vada fatto. Pensiamo che rappresenti un miglioramento e non un peggioramento del funzionamento della giustizia e del processo.”

SCHEDA GRIGIA: EQUA VALUTAZIONE DEI MAGISTRATI

La quarta scheda, invece, interessa l’equa valutazione dei magistrati: perché chiedete ai cittadini di votare No?

“Premetto che il quarto e quinto quesito del referendum ce li saremmo potuti risparmiare se la legge Cartabia avesse visto la luce prima. Comunque sia, noi siamo per il No perché la valutazione di un magistrato in parte già è prevista dal nostro sistema. Attualmente gli avvocati esprimono una loro valutazione, un loro parere che viene poi sottoposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati in cui esercitano la propria funzione forense. Questo sistema ci sembra più che sufficiente per esprimere un giudizio al quale i magistrati si sottopongono ogni quattro anni. Ricordiamo che è l’unica categoria che ha l’obbligo di sottostare a una verifica di idoneità e capacità e la situazione attuale ci sembra adeguata a esprimere un giudizio equilibrato sull’operato del magistrato. Inoltre, orientandosi verso l’abrogazione del sistema così com’è ora, c’è un pericolo che si può verificare, qualora gli avvocati vengano chiamati in giudizio: il giudice che viene valutato davanti all’avvocato preposto ad esprimere un giudizio sul collega vedrà messe a rischio la sua capacità e la sua indipendenza di valutazione.”

SCHEDA VERDE: RIFORMA DEL CSM

Infine, il quinto quesito referendario si focalizza sulla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura: perché ritenete che la modifica proposta dal referendum non porti alcun vantaggio?

“Quello che si chiede di modificare con il voto è l’aspetto legato alla candidatura di un membro al Consiglio Superiore della Magistratura. Si vuole favorire la candidatura dei magistrati al CSM senza la consueta raccolta delle 25/50 firme dei colleghi che li sostengono nella richiesta. A noi sembra una norma assurda perché questo moltiplicherebbe le autocandidature senza che ci sia alcun filtro minimale. Per presentare la candidatura devono essere raccolte minimo 25 firme, una cifra veramente esigua e facilmente raggiungibile con il minimo sforzo. Comprendiamo l’intento del quesito e per questo siamo contrari perché chi ha proposto il referendum per cambiare questa normativa vuole evitare che le correnti politiche abbiamo voce in capitolo nella magistratura.  Ma non è questo il modo giusto per farlo: anche con le autocandidature non verrebbe eliminato il problema. Infatti, è altamente probabile che si vadano a creare comunque delle catene di influenza per sostenere questo o quel candidato. Sosteniamo fermamente il nostro NO perché è fuorviante considerare il corpo della magistratura come un’entità asettica e slegata dalle dinamiche e tematiche civili, sociali e politiche. È un ragionamento completamente sbagliato e avulso dalla realtà. Un magistrato interpreta il suo ruolo anche in base alla visione che ha della società. È bene che la visione della società di un candidato al CSM venga esplicata chiaramente cosicché i colleghi, avendo un quadro completo, possano decidere se sostenerla o meno. In questo modo si avranno fin dal principio candidature trasparenti sia dal punto di vista delle capacità professionali che dal punto di vista del proprio pensiero e dell’interpretazione del ruolo di magistrato.”

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