La situazione nel Partito Democratico alla vigilia delle primarie è a dir poco incandescente. Attacchi feroci alle decisioni degli ultimi giorni giungono da ogni dove, un partito messo sotto scacco dai suoi stessi affiliati che già da tempo doveva fare i conti con le aspettative e le promesse disattese nei confronti dei propri elettori. Il Partito Democratico si è accartocciato su se stesso, avendo come unica battaglia comune quella del contrasto all’ascesa della destra (scontro perso miseramente alle elezioni di settembre). In 15 anni, dal 2007 a oggi, i segretari del Pd sono ben 8: Walter Veltroni, Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Matteo Renzi, Maurizio Martina, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta.

Nessuno di questi ha mai concluso in maniera naturale il proprio mandato di quattro anni. Questo perché nel frattempo il Pd internamente è andato sgretolandosi sotto i colpi di nuove correnti o sottogruppi che ne hanno minato l’unità iniziale. Tante, troppe voci, interessi e priorità discordanti e diversi tra loro non avrebbero potuto sopravvivere a lungo insieme, tant’è che a furia di occuparsi delle lotte interne il Partito ha perso completamente di vista le battaglie storiche della sinistra. E questa è stata la grande colpa che tutti gli elettori fuggiti dal Pd hanno rinfacciato al loro ex partito. I leader dem, incuranti delle critiche dei propri sostenitori, sono andati avanti per la loro strada, attaccati alle poltrone più che agli ideali. Ma alla fine i nodi vengono al pettine e il Partito Democratico si ritrova a un passo dal baratro. Se si pensa che con il post-elezioni si è giunti alla capitolazione, ci si sbaglia perché al peggio non c’è mai fine.

Il colpo di grazia a un partito che settimana dopo settimana è andato sempre più verso l’autodistruzione è l’aver accolto tra le proprie fila non tanto un personaggio contestato da molti – anche tra le fila dem – come Laura Boldrini o i compagni di Articolo 1, bensì l’ex iena ed ex grillino convinto Dino Giarrusso. Un personaggio decisamente discutibile su molti fronti, che per lungo tempo ha dato battaglia con critiche forti ai contestatori del Movimento 5 Stelle. Ora invece il Partito Democratico (non tutto) lo accoglie a braccia aperte e lo fa addirittura tesserare ed esprimere il proprio endorsement pubblico a Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria. L’affaire Giarrusso inevitabilmente accende la polemica: Bonaccini sente già da tempo la leadership più vicina, ma non fa in tempo a tentare di prendere le distanze da Giarrusso, cercando di frenarne gli entusiasmi e chiedendo delle scuse formali prima del tesseramento. Ormai però la frittata è fatta: le parole al veleno di Provenzano (che ha già deciso di sostenere Elly Schlein) rimbombano tra le stanza del Nazareno, accentuando ancora di più la frattura interna al partito. In tutta questa faccenda il pericolo è quello di perdere ulteriore credibilità alla vigilia di un passaggio vitale per la sopravvivenza del centrosinistra. Il caso Giarrusso rappresenta l’ultimo pezzo di un puzzle che dà vita a un congresso surreale e autoreferenziale.