di Massimo Gallo

L’epilogo del Governo targato Draghi sta alimentando analisi, più o meno complesse, retroscena e congetture. Il denominatore comune è chiaro: ciò che è successo è colpa del centrodestra e dei 5 stelle. A noi appare troppo semplice questa conclusione, anzi troppo scontata. Sarebbe assurdo affermare che Salvini, Berlusconi e Conte non ci abbiano messo del loro, animati da interessi politici, alla fine dei conti anche legittimi, così come sono legittimi i fini politici di quei partiti che temono di perdere le elezioni politiche e che quindi avrebbero preferito andare avanti con la legislatura.

Noi abbiamo avuto la percezione che sia accaduto, con qualche mese di ritardo, ciò che Draghi aveva preventivato. Proviamo a capirci: il Presidente del Consiglio, forte di un patto tra partiti, doveva traghettare l’Italia in acque più tranquille. Mario Draghi accettò l’incarico forte di questa condizione e di una non dichiarata possibilità di insediarsi al Colle da dove avrebbe ‘dominato’ tutta la politica italiana. Una soluzione che si prospettava buona per tutti: per Draghi, i partiti, l’Europa e i Paesi del blocco Atlantico.

Il nuovo Settennato di Sergio Mattarella, fortemente voluto da tutto l’arco costituzionale, anche in quell’occasione preoccupato di rimanere orfano di SuperMario, ha di fatto cambiato le carte in tavola e fatto saltare i programmi dell’ex presidente della Banca centrale europea. Draghi si è visto costretto, o quasi, a continuare in un ruolo che non aveva preventivato di dover mantenere per tanto tempo. La sua insofferenza, manifestata anche dagli aut aut, palesi o striscianti verso chi provava ad emendare il suo tirare dritto, lasciava pensare a un modo per creare il ‘casus belli’ per abbandonare il timone.

Per dirla semplice: siamo sicuri che Draghi volesse continuare quest’avventura? A noi sembra di no. Non ne aveva nessuna intenzione. Anche il colloquio con Mattarella della settimana scorsa, in assenza di un voto di sfiducia, è parso come un tentativo, anche goffo, di farsi esonerare dal Capo dello Stato dal compito che gli aveva conferito. L’inquilino del Quirinale, con alto senso della Costituzione, lo ha invece avviato verso la verifica parlamentare.

E ieri Mario Draghi, con il suo discorso, non ci è sembrato che stesse cercando la fiducia: troppo sprezzante, troppi paletti, troppe volte si è rivolto ai senatori, a nostro avviso, sfidandoli. Quel “Siete pronti?” ripetuto più volte, ci è sembrato irrispettoso per tutti. Ha dato l’idea che ci volesse fare il piacere di rimanere. E no, non funziona così: una carica politica è un servizio che si rende al Paese, non una cortesia.