Rinviato per l’ennesima volta il processo a Patrick Zaki. Il ricercatore egiziano all’Alma Mater Studiorum di Bologna, anche se non più rinchiuso in carcere, ma sottoposto attualmente a detenzione domiciliare, è sotto processo da quasi trenta mesi, circa tre anni.

Il rinvio

Il ricercatore egiziano, in uscita dall’aula del Palazzo di Giustizia di Mansura, è apparso sconfortato e irritato dall’esito della giornata, che si è conclusa con l’ennesimo rinvio. Infatti, dopo un iniziale e lungo periodo detentivo in carcere, nel quale sono state formalizzate le accuse, quello a cui si è assistito, a livello giuridico, non è altro che un infinito processo reiterativo fatto di continui rinvii.

“Nulla di nuovo. È solo un nuovo rinvio dell’udienza che stavolta è stata rimandata al 29 novembre. Oggi abbiamo fatto presente al giudice che volevamo presentare la nostra difesa, ma non ce ne hanno dato l’opportunità, come ogni volta. Così continueremo ad aspettare, anche se non sappiamo i motivi che sono dietro il rinvio, ma vedremo. L’udienza non è durata più di un secondo, ma pochi secondi, uno o due. Mi chiedono sempre la carta d’identità, dò la carta d’identità, vanno in camera di consiglio e poi danno la decisione”, ha raccontato Patrick ai giornalisti in attesa fuori dall’aula. 

Scandalizzato e arrabbiato è apparso anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha evidenziato la scorrettezza della procedura imposta dai giudici egiziani. Inoltre, ha lanciato un’accusa alla diplomazia italiana, giudicata troppo poco attenta al destino della vicenda, tragicamente simile a quella di un altro brillante ricercatore italiano, Giulio Regeni.

“Purtroppo c’erano poche speranze che finisse con un esito diverso dall’ennesimo lungo rinvio. Qui bisogna rendersi conto che Patrick sta già scontando una condanna senza essere stato condannato, perché ventidue mesi di detenzione preventiva più altri nove di processo significano quasi tre anni di privazione della libertà individuale, con divieto di espatrio e della possibilità di tornare a Bologna. Si è perso tanto, tanto tempo, e Patrick sta scontando e subendo una mancanza di azione della diplomazia italiana che fa veramente pensare che forse la sua vita, la sua libertà, non siano così importanti per la diplomazia. Per noi attivisti sì”, ha detto Noury ai microfoni dell’Ansa.