La FIFA porta in Qatar tre donne arbitro. Sono la francese Stephanie Frappart, la ruandese Salima Mukansanga e la giapponese Yoshimi Yamashita, oltre a 3 assistenti di linea, la brasiliana Neuza Back, la messicana Karen Diaz Medina e la statunitense Kathryn Nesbitt.
La notizia dovrebbe far sorridere ed essere considerata un importante vittoria per chi si batte per la parità di genere nello sport, soprattutto nel calcio. Inoltre, la presenza di donne sul campo potrebbe essere vista come un segnale forte lanciato proprio in un paese musulmano, dove per legge il ruolo della donna è marginale.

In realtà, più che un segnale storico questa decisione assomiglia più a una mossa furba e ben calcolata da parte della Federazione calcistica guidata da Gianni Infantino. A meno di sei mesi dal calcio d’inizio è d’obbligo scrollarsi di dosso e sotterrare tutte le polemiche sul Qatar, scelta fatta pensando più al portafogli che al resto.

I diritti umani e civili in Qatar, spina nel fianco della FIFA

Il Qatar è sicuramente il paese del Medio Oriente più progressista in fatto di diritti della donna. Sono stati fatti passi in avanti, ma la strada per arrivare a un’emancipazione totale è ancora molto lunga. Come anche quella per il rispetto dei diritti umani e civili che sono stati il motivo principale per cui l’opinione pubblica ha criticato duramente la FIFA. Il Qatar è uno Stato in cui vige la legge della Sharia, ci sono la pena di morte, le punizioni corporali, l’aborto punito con il carcere, la libertà di espressione molto limitata nonché una forte discriminazione tra espatriati e qatarioti. Le donne arbitro inserite nella competizione, quindi, sembrerebbero solo un modo per ripulire dalle critiche l’edizione 2022 del Mondiale in cui il denaro è il solo padrone.

Un Mondiale perso in partenza

I Mondiali 2022 in Qatar non sono nati propriamente sotto una buona stella. All’assegnazione nel lontano 2010, molti si sono dimostrati scettici sia per la scelta della location sia per il periodo della competizione, che si svolgerà a novembre 2022. Il Qatar era un Paese sconosciuto a molti e con aspetti non così trascurabili come la pungente questione dei diritti umani. Al momento dell’assegnazione c’era un solo stadio. Come trasformare l’emirato nel tempio del calcio mondiale? Dopo dodici anni, con il Mondiale alle porte, il Qatar può vantare sette stadi e infrastrutture futuristiche. Ma a che costo? Quello della vita di oltre 6.500 operai immigrati – provenienti dal sud-est asiatico e dai vicini paesi della penisola arabica – che, secondo un’inchiesta del Guardion, hanno perso la vita durante i lavori.