Il Mondiale di calcio che si aprirà domenica pomeriggio in Qatar sta affrontando in queste ore l’ennesimo ostacolo “morale”, stavolta legato alla questione sponsor. La famiglia reale qatariota avrebbe deciso di vietare il consumo di birra sugli spalti e di nascondere i chioschi presenti nelle fan zone. Inevitabilmente è insorta la Budweiser, colosso americano della birra che ha pagato ben 75 milioni di dollari per essere presente come main sponsor in questa edizione del campionato mondiale. 

Il caso Budweiser

Che il Qatar fosse il contesto più sbagliato per ospitare i Mondiali di calcio lo si è capito già da tempo e lo ha anche ammesso chi nel 2010 ha favorito l’assegnazione, ovvero Joseph Blatter, all’epoca presidente della FIFA. Ma a poche ore dalla cerimonia di apertura di Qatar 2022, ora c’è l’ennesimo problema da gestire e riguarda quegli sponsor che pagano fior di quattrini per promuovere la più grande competizione calcistica. E’ quindi bastata una birra per aprire nuovamente l’ennesima polemica contro l’organizzazione qatariota del Mondiale. In Qatar, come nella maggior parte dei paesi islamici, l’alcol può essere venduto agli stranieri solo se questi sono in possesso di permessi speciali o se si trovano all’interno di hotel e ristoranti autorizzati alla vendita.

A quanto pare la famiglia reale del Qatar, in linea con la cultura del Paese, avrebbe comunicato ora (a 72 ore dall’inizio della manifestazione) che la birra del main sponsor Budweiser non potrà essere venduta sugli spalti degli otto stadi che ospiteranno le 64 partite della competizione, ma non solo. I chioschi già allestiti per la vendita nelle fan zone dovranno addirittura essere nascosti e spostati molto più lontano. Inevitabile la rabbia dell’azienda americana che sta cercando tutela appoggiandosi alla FIFA. La Federazione ha quindi iniziato un braccio di ferro durissimo con il comitato organizzatore di Qatar 2022, soprattutto perchè la FIFA potrebbe rischiare una causa milionaria da parte del colosso americano della birra. Ci si aspetta una decisione entro le 17 (ora italiana) di domenica, poco prima quindi della partita inaugurale Qatar-Ecuador.  

Non solo birra: i problemi dell’edizione qatariota

I lavoratori

Le complicazioni per Qatar 2022, legati a stretto filo alla cultura e alla morale del Paese ospitante, stanno riguardando molti aspetti e hanno fin da subito messo in serio “pericolo” la reputazione del Qatar e dell’organizzazione del Mondiale. La questione dei lavoratori è ormai nota a tutti: si stima che nei cantieri degli otto futuristici stadi qatarioti abbiamo perso la vita almeno 6.750 persone, tutti lavoratori immigrati provenienti dal sud-est asiatico. Oltre alle morti sul lavoro ci sono i diritti degli stessi operari, calpestati in vario modo a partire dalle ore di lavoro fino alle condizioni di vita in palazzi sovraffollati e alle paghe da fame.

I diritti civili

A causa della violazione dei diritti civili venuti alla luce ormai da anni e complice anche la discriminazione delle donne e della comunità LGBTQ+ perpetuata dal Qatar, si parla sempre più di boicottaggio dell’edizione qatariota dei Mondiali. Un esempio è quello di Dua Lipa e Shakira che si sono rifiutate di esibirsi nella cerimonia di apertura di domenica, rinunciando sicuramente a un lauto compenso. La nazionale della Danimarca aveva deciso di scendere in campo con una maglia di denuncia della violazione dei diritti umani, prontamente vietata dal Qatar. Inoltre i danesi hanno scelto di ridurre le attività della spedizione e di viaggiare senza famiglie, compagne e figli al fine di non contribuire ai profitti del Regno qatariota. Molte città francesi, tra le quali Parigi, Marsiglia, Lille e Bordeaux, hanno invece deciso di non installare maxischermi o fan zone nelle piazze. 

I tifosi fake e l’impatto sull’ambiente

C’è poi la questione dei tifosi. Impossibile per il Qatar fare una figuraccia mondiale e quindi come risolvere il problema dei possibili spalti vuoti? Pagando dei tifosi finti. Sembrerebbe infatti che centinaia di persone, per lo più pakistani e nepalesi, vengano pagati per tifare nazionali come Argentina, Germania, Spagna, Inghilterra con tanto di magliette, bandiere e sciarpe. Accusa ovviamente smentita dai qatarioti che stimano l’arrivo di 1,5 milioni di tifosi da tutto il mondo.

E, infine, quando si tratta di parlare di un mondiale ospitato da una nazione completamente desertica è impossibile non parlare dell’impatto ambientale. Il Qatar ha fatto e continua a fare ancora oggi una grandissima azione di greenwashing, vantandosi dei loro otto stadi innovativi a livello architettonico e soprattutto sostenibili. Il comitato ha sempre sventolato la bandiera di un’edizione “carbon neutral”, ma parliamo di una competizione giocata in cattedrali nel deserto con aria condizionata perennemente accesa sotto i sedili degli spettatori. Se da una parte sono stati fatti degli importanti investimenti per quanto riguarda l’energia solare con la costruzione di un impianto di 800 megawatt su un terreno di 10 chilometri quadrati per produrre energia, dall’altra parte si dovrà fare i conti con l’emissione di 3,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, che comprendono emissioni dirette e indirette degli alloggi, della costruzione delle infrastrutture e dei viaggi, quasi il doppio di quelle generate nell’edizione di Russia 2018. A questo si aggiungono anche i 10mila litri di acqua desalinizzata al giorno che verranno usati per l’irrigazione degli stadi e dei campi di allenamento e che stanno distruggendo inevitabilmente l’ambiente marino circostante.