La tomba di Alfredino Rampi, il bimbo di sei anni che morì cadendo in un pozzo artesiano a Vermicino il 13 giugno 1981, è stata profanata. Lo riporta il Tg regionale della Rai. La lapide del bimbo al cimitero del Verano di Roma è stata imbrattata con una serie di svastiche. Sulla vicenda indagano i carabinieri di San Lorenzo di Roma, che stanno analizzando le immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona.

Proprio sabato scorso la città di Roma aveva voluto rendere omaggio al piccolo morto a Vermicino con un murales inaugurato nel quartiere della Garbatella.

Il dolore della madre

“Solo un matto, un vigliacco può aver fatto una cosa così terribile. Sono addolorata certo, ma soprattutto furiosa per Alfredino e per Riccardo: quelle svastiche e quelle scritte sono uno sfregio alla loro memoria e alla nostra famiglia”. C’è rabbia e dolore nelle parole di Franca Rampi, la mamma di Alfredino, ancora incredula di fronte all’atto vandalico ai danni della tomba di Alfredino. Lì il bambino riposa dal 2015 accanto al fratello Riccardo morto a causa di un infarto a 36 anni. La lapide è stata sfregiata con delle svastiche e la scritta drogato.

La vicenda

Alfredino Rampi aveva sei anni quando morì in un pozzo, il 13 giugno del 1981. La tragedia di Vermicino è entrata a far parte della storia della cronaca nera e nell’immaginario collettivo degli italiani. Caduto in un pozzo artesiano situato in una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, il bambino morì dopo quasi tre giorni di tentativi per salvarlo.

Le difficoltà nella macchina dei soccorsi, di fatto senza coordinamento e organizzazione, aprì la strada all’accelerazione nella nascita della Protezione Civile, che all’epoca esisteva solo sulla carta.

La diretta tv

La vicenda di Alfredino Rampi ha segnato una svolta nella storia della televisione, non solo italiana, inaugurando quella che oggi viene definita “la tv del dolore”. Una diretta lunga ben 18 ore andò in onda a reti unificate su Rai1 e Rai2. Le telecamere seguirono i tentativi di soccorso, indugiarono sulle lacrime e le urla di dolore della madre del piccolo, inquadrarono le autorità presenti sul posto tra cui l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.

L’Italia tutta rimase incollata allo schermi giorno e notto, pregando e sperando in un epilogo positivo. Tutti si aspettavano di veder emergere, prima o poi, un soccorritore con Alfredino in braccio ma per il bambino non ci fu nulla da fare. Le sue ultime parole, l’ultima discesa verso il buio, furono trasmesse in diretta tv. Poi più nulla.

Non restò che un inesorabile senso di sconfitta. Per una giovane vita che non si era riuscita a salvare, per l’improvvisazione con cui erano avvenuti i soccorsi, per una televisione che aveva fatto spettacolo del dolore di una madre e della tragica morte del suo bambino.

L’Italia incollata allo schermo

I dati Auditel del giorno dopo la tragedia diedero dei numeri impressionanti in termini di ascolti: 28 milioni di telespettatori davanti alle tv da Nord a Sud, l’Italia voleva conoscere il finale di una delle prime grandi tragedie che diede vita a quella che oggi chiamiamo la “Tv del dolore”.