Il processo vaticano va avanti con l’interrogatorio di Enrico Crasso. Il finanziere è stato interrogato dal Promotore di giustizia Alessandro Diddi nel corso della diciottesima udienza, celebratasi ieri nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani.

Rinviato a giudizio per truffa, corruzione, estorsione, peculato, abuso d’ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, falso in atto pubblico e scrittura privata (gran parte dei reati in concorso con il broker Gianluigi Torzi), Crasso ha rifiutato ogni accusa. Addirittura è arrivato a definire l’affare del Palazzo londinese da cui è partita tutta l’inchiesta “il più grande errore della mia vita. Nell’affare di Londra non dovevo entrarci” ha spiegato.

Crasso: nessun incarico formale

Il manager di Credit Suisse ha lasciato intendere di essere finito in mezzo a vicende che né lo riguardavano, né erano di sua competenza. Incalzato dal Promotore di giustizia, Crasso ha ribadito di non aver avuto mai un mandato “di prelevare un centesimo dai fondi della Segreteria di Stato, sui quali non c’erano vincoli di destinazione”.

Crasso ha pure sottolineato di non aver mai ricevuto “incarichi formali di consulente” specificando che il suo ruolo era quello di “gestore” di acquisti e quote fondi – “e non speculazioni”, anche in considerazione del fatto che il Vaticano non poteva avventurarsi in “investimenti ad alto rischio”.

Messo in cattiva luce con il Papa

“Dal 1993 al 2014 non ho mai fatto nessun tipo di finanziamento, mai! L’unica cosa che ho fatto è stato mettere la cravatta in rispetto delle istituzioni”. Queste le parole di Crasso che ha ripetuto di essere stato “vilipeso e offeso”. “Alcune persone che hanno interloquito con il Papa hanno fatto di tutto per mettermi in cattiva luce”.

In una memoria che gli avvocati del finanziere hanno depositato in tribunale, si ribadisce che l’uomo “non ha avuto alcun ruolo nell’operazione di acquisto dell’immobile di Londra”.