La morte di Mahsa Amini, picchiata a morte dalla polizia morale di Teheran semplicemente perché non indossava correttamente il suo hijab, ha dato il via a un’ondata di proteste che attraversano l’Iran da ormai cinque giorni.

Epicentro delle proteste, represse con forza, è il Kurdistan iraniano, la provincia natale di Amini, la 22enne morta dopo essere stata arrestata il 13 settembre a Teheran, dove era in visita con la sua famiglia, per non aver indossato correttamente il suo hijab, da quale fuoriusciva una ciocca di capelli. Secondo le denunce della famiglia, Amini sarebbe deceduta a causa delle percosse ricevute mentre era in custodia della polizia. Le forse dell’ordine, tuttavia, respingono le accuse e si dicono estranee ai fatti.

L’azione di protesta ha avuto inizio sabato a Saqqez, durante i funerali della giovane. Qui decine di donne si sono sfilate il velo islamico, sventolandolo per sfidare la dittatura. A sostegno delle donne si è schierato un gruppo di residenti che hanno tirato pietre contro la sede del governatore. Da quel momento le manifestazioni si sono estesi in tutto il paese.

Negli ultimi giorni ci sono stati raduni con slogan contro la Repubblica islamica e la Guida Suprema, Ali Khamenei, anche nelle università di Teheran, Tabriz e Yazd e in città come Isfahan. Durante le manifestazioni, le donne stanno portando avanti un’azione di ribellione senza precedenti. Molte di loro si sono filmate mentre bruciano il loro hijab o se lo levano dal capo, tagliandosi i capelli in diretta social social per dire basta a un’esistenza fatta di soprusi e ingiustizie.

Le autorità non sono rimaste a guardare. Il governatore di Teheran Mohsen Mansouri ha sostenuto che le mobilitazioni sono state “pienamente organizzate con l’obiettivo di creare disordini”. Secondo l’organizzazione di difesa dei diritti umani iraniana Hengaw, almeno otto dimostranti sarebbero stati uccisi dalle forze di sicurezza durante delle manifestazioni organizzate nella regione del Kurdistan.

Prima di partire per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha chiamato i genitori di Mahsa Amini, ha espresso le sue condoglianze, ordinato un’indagine sul caso, e ha sottolineato che Mahsa “era come una delle nostre stesse figlie”.