di Piera Vincenti

Quella che sto per raccontarvi non è una storia di guerra perché, fortunatamente, la guerra è rimasta ai margini. Ai margini delle strade che dal confine polacco-ucraino conducono fino a Leopoli, dove si incontrano numerose postazioni presidiate dai militari. Sono dei veri e propri bunker, allestiti dall’esercito ucraino con dei sacchi dove i soldati, fucili alla mano, sono pronti a contrastare l’avanzata del nemico. Perché sanno che prima o poi il nemico, Putin e il suo esercito, arriverà a bussare alle loro porte.

Ai bordi di quelle stesse strade sono posizionati cartelloni pubblicitari che, anziché reclamizzare beni o servizi, promuovono la guerra come unico strumento per riportare la pace. Simbolo dell’orgoglio nazionale che non si arrende di fronte all’invasore, simbolo della voglia di riscatto anche a costo della propria vita.

L’altra faccia della propaganda

Colpisce in modo particolare un cartellone raffigurante due bambini, probabilmente una sorella e un fratello, vestiti con la tuta mimetica. Accanto campeggia una scritta, ma la strada scorre veloce e non riusciamo a fotografarla per poi avere una traduzione. La frase, però, ha tutta l’aria di essere un passo del vangelo o comunque una citazione illustre.

Fotografiamo, invece, un’altra affissione, che ritroviamo in ogni paesino che attraversiamo. E’ riprodotto un carro armato recante bandiera nazionale. La scritta recita: “Crediamo nell’esercito ucraino. Orgogliosi della 24esima brigata”. Il riferimento, ci spiegano, è al conflitto del 2014 e all’attuale, strenua, difesa dei confini ucraini dall’altra parte del Paese: nel Donbass, a Mariupol, a Kiev.

Notiamo ancora un cartellone che inneggia al presidente Volodymyr Zelensky che non ha esitato a spogliarsi di giacca e cravatta e andare a combattere al fianco del suo popolo, della sua gente, e per la libertà del suo Paese.

Il messaggio è chiaro: c’è da combattere, tanto che il confine tra la propaganda e il tentavo di tenere su gli animi è davvero labile. L’impressione è che nessuna diplomazia sia ammessa in questa guerra, né da parte russa né da parte ucraina. O la vittoria o la morte, questa la comunicazione che sembra emergere dai cartelloni.

Dal confine a Leopoli: ore di coda per camion e automobili

La strada che conduce dalla frontiera a Leopoli è costeggiata da pianure verdeggianti dove piccoli e medi agricoltori locali coltivano quel grano che resta bloccato alla dogana. Sono circa 16 i chilometri di coda per i camion che trasportano questa preziosa materia prima e che riusciranno ad attraversare il confine solo dopo alcuni giorni.

Il verde dei campi è spezzato soltanto dal dorato delle cupole delle chiese ortodosse e delle numerose cappelle dedicate alla Vergine Maria, il cui culto è molto diffuso nel Paese.

Leopoli il giorno dopo i bombardamenti

Dopo circa tre ore per varcare il confine, finalmente riusciamo ad entrare in Ucraina – per uscire di ore ce ne vorranno quasi cinque – e ci dirigiamo verso Leopoli che il giorno prima, la sera del 3 maggio, è stata bombardata. In seguito all’appello del sindaco Andriy Sadovyi, che aveva invitato i suoi concittadini a rimanere nei rifugi, ci aspettiamo di trovare una città deserta, ferita, silenziosa.

Invece, ci accorgiamo che la vita prosegue in maniera quasi normale. Nel centro città c’è gente a piedi e in bicicletta, in auto o sui mezzi pubblici. Caffè e ristoranti sono aperti e frequentati, così come i supermercati. Tutto congelato in un’apparente normalità come dimostra il video pubblicato a cosa.

I segni della guerra sono invece evidenti nel piazzale antistante la stazione centrale, dove decine di profughi, scappati dalle città bombardate a est del Paese, trovano un primo rifugio contro la loro disperazione. Nei tendoni, volontari raccolgono beni di prima necessità da offrire ai loro connazionali in fuga dalla guerra che, dall’altra parte dell’Ucraina, sta spazzando via città e distruggendo vite.

Tra realtà e narrazione

Di fronte alle scene di vita quotidiana, facciamo fatica a pensare ad un Paese in guerra. Ovvio che che sia così, ma ciò che abbiamo vissuto in prima persona è distante dalle scene e dai racconti dei giornali e delle televisioni italiane, che raccontano un Paese dilaniato. E’ certamente così in altre zone dell’Ucraina, ma questa guerra offre mille sfaccettature che non possono alimentare una narrazione a senso unico, ma soprattuto analisi semplici e immediati. La realtà è più complessa di come appare.

Nulla giustifica le azioni di Putin e le barbarità compiute dal suo esercito – nessuna guerra è mai giustificabile – ma resta il dubbio che il senso critico dell’occidente, ancora una volta, sia asservito a un pensiero dominante che ci vuole tutti allineati.