Le parole contano. E spesso diventano terreno per sterili battaglie ideologiche. Stavolta, a finire sotto accusa è il merito. Giorgia Meloni non ha neppure finito di annunciare la creazione del ministero dell’Istruzione e del merito che subito si sono alzati cori di protesta.

Evidentemente la sinistra, completamente sganciata dalla realtà e incapace di risollevarsi dal fallimento delle elezioni del 25 settembre, ha un problema ad accettare la meritocrazia: di chi primeggia a scuola, di chi ha talenti che chiedono di essere riconosciuti, di chi vince le consultazioni e viene chiamato a governare il Paese.

Per quale ragione il merito – che deriva da impegno, talento, competenze – dovrebbe essere disapprovato? Perché una società piatta, relegata nell’immobilismo, dovrebbe essere preferibile a una che offre maggiori opportunità a chi sa e sa fare meglio le cose?

Oggi la sinistra vorrebbe far passare il merito come un concetto ad esclusivo appannaggio della destra ma ricordiamo che in campagna elettorale Enrico Letta, segretario del Pd, aveva parlato di merito quale criterio per differenziare gli stipendi degli insegnanti. Ora che una proposta del genere viene avanzata dalla fazione opposta, tutti a gridare allo scandalo.

Il problema è che alla questione ci si approccia in maniera ideologica e non pratica, dimenticando che è la stessa Costituzione italiana a sancire il concetto di merito come strumento si riscatto sociale. “I capaci e meritevoli – si legge all’articolo34 – anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Che tradotto significa: i più meritevoli, al di là della loro provenienza sociale, possono ambire ad arrivare in alto perché lo Stato mette a loro disposizione gli strumenti per scalare la vetta. A questo punto, il merito diventa l’unica alternativa per elevarsi e dare un contributo qualitativo al Paese, ormai appiattito sull’ignoranza e bisognoso di leader capaci, a livello politico-istituzionale e imprenditoriale.