La star della pallacanestro femminile Brittney Griner, arrestata in Russia nel febbraio scorso, rischia di rimanere in cella per l’intera durata della pena, valutata dal tribunale di Krasnogorsk in nove anni e mezzo. Questo a meno che la campionessa non sia oggetto di una trattativa per lo scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia.

Possibile scambio

Il respingimento del ricorso mosso dall’atleta contro la condanna emessa ad agosto per, come recita la sentenza, “contrabbando in Russia di sostanze illecite”, era il prerequisito fondamentale affinché i ministeri degli Esteri delle rispettive potenze potessero avviare trattative utili allo scambio di prigionieri politici.

È una procedura che avviene da sempre, e i due Paesi sono oltremodo efficienti nel porla in essere, considerato il fatto che per più di un cinquantennio, durante la cosiddetta “Guerra Fredda”, simili attività erano all’ordine del giorno. Nel gergo diplomatico, si parla di “tecnica iraniana”, perché praticata spesso dal paese arabo allora come ora.

Gli Stati Uniti, oltre che alla Griner, sono interessato a Paul Whelan, ex marine accusato di spionaggio quattro anni fa e che sta attualmente scontando una pena a sedici anni di lavoro forzato.

I Russi, da parte loro, chiedono da anni il rilascio della controversa figura di Viktor Bout, ex colonnello dell’Armata Rossa non senza agganci con i servizi segreti, arrestato a Bangkok quattordici anni fa per aver fornito armi alle FARC (acronimo che sta per Forza Armate Rivoluzionarie della Colombia) e poi consegnato agli Stati Uniti, nonostante le pressioni di Mosca.

Nonostante il Segretario di Stato americano Anthony Blinken avesse, già quest’estate, parlato del possibile scambio, nessuna risposta dal Cremlino è arrivata alle alte sfere diplomatiche statunitense limitatamente alla questione.

Tuttavia, la situazione è favorevole nella misura in cui le due nazioni stanno preparando il terreno per una possibile fase distensiva del conflitto in Ucraina, e l’occasione potrebbe essere sfruttata per realizzare lo scambio.

La vicenda

Griner, star della Women Nba e, fuori stagione e per arrotondare, pivot dello Zenskij Ekaterinburg, era stata arrestata all’aeroporto moscovita di Sheremetyevo dove era appena arrivata sette giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, in un clima già teso tra Russia e Stati Uniti. I cani antidroga degli Spetsnaz (i corpi speciali russi) in servizio all’aeroporto le avevano annusato, nel borsone, alcune cartucce di olio di hashish per vaporizzatori.

L’olio di hashish, usato come antidolorifico da molti atleti perché ha meno effetti collaterali di altri analgesici, è lecito negli Stati Uniti ma vietato in Russia. Trentuno anni, più di due metri d’altezza, risultati da star dovunque abbia giocato, Griner si era subito dichiarata colpevole: “Ho fatto le valigie in fretta, dopo il Covid. Non ero tanto in me”.

Dopo un breve processo, l’atleta era stata condannata nella prima sentenza a nove anni di carcere più il pagamento di una multa pari a circa un milione di rubli (circa 17mila euro), e ieri è stato respinto il ricorso che la sua difesa aveva presentato, giudicando la pena eccessivamente severa data l’entità della vicenda.