(Adnkronos) – "Greenpeace ha pubblicato il primo rapporto sul clima a livello globale nel 1990 e in Italia nel 1992. Per tantissimi anni siamo rimasti inascoltati, oggi qualcosa è cambiato: l’attenzione dei cittadini sulle questioni ambientali è cresciuta, purtroppo non è accaduto lo stesso tra i decisori politici". A dirlo all'Adnkronos è Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, secondo il quale "non siamo mai stati vicini alle soluzioni e, allo stesso tempo, alla catastrofe come in questo momento". I fenomeni che recentemente hanno investito l'Italia lo dimostrano. "Siccità e alluvioni sono in qualche modo due facce della stessa medaglia – spiega -. Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito ai cosiddetti 'uragani mediterranei' e ai loro effetti distruttivi, fenomeni legati al cambiamento climatico e che si ripetono oggi con una frequenza maggiore rispetto al passato".  Davanti a uno scenario già oggi preoccupante serve un'inversione di rotta. "Una quota di questi cambiamenti è per così dire inevitabile – sottolinea Onufrio -. Da una parte, quindi, dovremo adattarci – un adattamento certamente complesso -, dall'altra è necessario ridurre le emissioni perché oltre un certo limite l’adattamento non sarà più possibile". Da una recente indagine, effettuata da AstraRicerche per Greenpeace Italia tra il 19 e il 21 maggio scorsi, su un campione di 800 italiani di età compresa tra i 15 e i 70 anni, emerge il quadro di una società 'multi allarmata', dove tutte le minacce all’ecosistema e alla salute del Pianeta e dell’uomo fanno paura. Secondo lo studio l'emergenza ambientale che più preoccupa gli italiani è proprio il cambiamento climatico (20,9%) e i suoi effetti più evidenti come siccità e inondazioni (17,4%), due voci che insieme riguardano quasi 4 italiani su 10, seguite dall’inquinamento dell’aria (10,8%) e dell’acqua (8,9%). "E' fondamentale agire – avverte il direttore di Greenpeace Italia -. Lo scenario è allarmante perché, in assenza di interventi, le politiche attuali ci porteranno a un aumento di temperatura dell’ordine di 3 gradi. Questo significa che vaste aree del pianeta diventeranno inabitabili e i conflitti per le risorse e per l’acqua, già oggi in atto in varie aree della Terra, aumenteranno. Non siamo mai stati vicini alle soluzioni e, allo stesso tempo, alla catastrofe come in questo momento. Le tecnologie ci sono, però, si stenta a realizzare una transizione energetica, indispensabile a livello internazionale. Diversi Paesi hanno iniziato a muoversi – ammette il direttore di Greenpeace Italia -, ma stiamo andando troppo lentamente. Anche in Italia il passo è lento. Noi chiediamo ai decisori politici e aziendali di cambiare strategia perché davanti a noi abbiamo uno scenario di aumento del caos climatico e dei conflitti".  
La cooperazione internazionale è l'unica strada. "Solo così potremo ridurre il danno ed evitare che il pianeta vada verso una condizione di irreversibilità – sottolinea -. Tutti i parametri ambientali sono allarmanti e questo l’opinione pubblica italiana lo ha capito. Abbiamo già adesso una diminuzione media della piovosità, piove meno ma peggio, in maniera concentrata e distruttiva. Vanno cambiate tutte le nostre politiche". Il problema, però, per Onufrio è anche di "consenso politico". "L’idea che del territorio si può fare qualunque cosa per ottenere voti non è più sostenibile in alcun modo. Lo abbiamo visto negli ultimi casi di alluvioni: si è costruito in luoghi in cui si sapeva che poteva succedere quello che poi è successo". Da qui l'appello. "Occorre alzare il livello di consapevolezza e passare ai fatti. I combustibili fossili sono fonti che vanno progressivamente ridotte e va fatto adesso. Non c'è più tempo da perdere".  E l'allarme sulla possibile macelleria sociale con il crollo dell'occupazione? "Siamo dentro una transizione tecnologica che ha molti elementi positivi, perché si stanno sviluppando tecnologie che ci consentirebbero di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Alcune aziende sono in ritardo, ma frenare questa transizione significherà semplicemente aggiungere al danno climatico la beffa di non entrare in settori che probabilmente sono già quelli in cui si sta costruendo il futuro". Il direttore di Greenpeace Italia non ha dubbi. "Lo spazio per agire c'è, uno spazio che sarebbe anche conveniente per generare posti di lavoro e per aprire in settori industriali a più basso impatto, che sono la strada per poter rispondere alla crisi del clima".  "C'è un pezzo di futuro verde, oggi le fonti rinnovabili sono diventate quelle più competitive – avverte -. Bloccare la crisi climatica consentirebbe all'Italia di continuare a giocare un ruolo come Paese industrializzato. Bisognerebbe mettere al centro la transizione, invece di ostacolarla. La transizione energetica pone delle sfide, ma ci può consentire di aprire un dialogo e una collaborazione che converrebbe a tutti, sia sul piano economico sia per combattere un nemico comune: la crisi del clima. Una crisi – conclude – che colpirà tutti. Lo vediamo negli incendi in California, in quelli Australia, nei fenomeni in Cina e in quelli nel Mediterraneo e in Italia. I Paesi collaborino, si 'armino' contro il nemico comune: la crisi climatica". (di Rossana Lo Castro) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)