È cominciata la fase due della guerra. Dopo la mancata conquista di Kiev, il Cremlino ha deciso di spostare l’esercito su un fronte che, secondo molti, è sempre stato il reale obiettivo di Putin e che potrebbe segnare l’inizio della fase conclusiva della guerra. L’offensiva ad est ha aperto nuovi scenari, chiudendo quasi del tutto ogni possibilità di negoziare. Gli attacchi hanno cominciato a intensificarsi nelle regioni del Donbass, intorno a Kharkiv, Mykolayiv e soprattutto Mariupol, la città portuale più importante. Le forze ucraine non sono attrezzate abbastanza per combattere su più fronti, e finora per Zelensky si è sempre trattato di condurre una guerra difensiva.

Come cambia la guerra

Ora nel Donbass lo scenario è ben diverso e ricorda molto i campi di battaglia della Seconda guerra mondiale. Si combatte su distese pianeggianti e un fronte lungo 480 km, impossibile da coprire per gli ucraini. Allontanare le truppe da Kiev non è un’opzione perché le pretese di Putin sulla capitale non sono sparite; l’esercito ucraino però si ritrova senza armi adatte per attaccare i russi in Donbas. Zelensky esorta ancora i Paesi occidentali a rifornirli di armi offensive, ma gli unici che rispondono all’appello sono gli Stati Uniti. Nel frattempo, arrivano notizie contrastanti da Mariupol. Putin festeggia la presa della città, il primo successo dopo settimane difficili, annullando in un primo momento l’attacco all’acciaieria di Azovstal, usata come rifugio dai civili e dalla resistenza ucraina, per poi ripensarci meno di 24 ore dopo. Mentre cadono bombe anti-buncker sul sito, Kiev e Washington fanno sapere che non ci sono prove che Mariupol sia caduta nelle mani dei russi. Zelensky, inoltre, annuncia che la Russia non ha concesso nessuna tregua per la Pasqua ortodossa.